martedì 24 maggio 2016

Come cambia la Costituzione: alcune note storiche

La Costituzione attuale è  in vigore dall'inizio del 1948 ed è stata elaborata dall'assemblea costituzionale eletta il 2 giugno del 1946.

Naturalmente, nello stesso periodo ci fu un governo in carica, anzi, più di uno, che dovettero operare nella difficile situazione del secondo dopoguerra. Essi furono il II Governo De Gasperi (13.07.1946 - 28.01.1947), il III Governo De Gasperi (02.02.1947 - 31.05.1947) e il IV Governo De Gasperi (31.05.1947 - 23.05.1948).
Prima considerazione: anche solo da queste scarne informazioni, senza neanche approfondire i motivi che hanno portato agli avvicendamenti dei tre governi, si intuisce come l'attività costituzionale fosse del tutto indipendente da quella dell'esecutivo.
Se poi si guarda un po' più  da vicino si scopre che la transizione dal terzo al quarto governo De Gasperi fu particolarmente traumatica. Mentre il passaggio dal secondo al terzo avvenne mantenendo la stessa base parlamentare - furono ambedue governi di unità nazionale ai quali parteciparono anche i partiti di sinistra, comunisti compresi - il quarto De Gasperi fu quello che terminò l'esperienza dei governi di unità nazionale, espulse dall'area governativa le sinistre e cominciò la serie degli esecutivi basati sulla centralità della DC. In particolare il PCI restò escluso per il trentennio successivo: un cambiamento che divenne uno dei tratti caratteristici della vita politica italiana della Prima Repubblica. 
Togliatti minacciò sfracelli e proclamò il boicottaggio della Costituente perché  il PCI era stato escluso o, viceversa, De Gasperi emarginò i deputati della sinistra dai lavori dell'Assemblea? No, i lavori proseguirono e portarono alla Costituzione che abbiamo tuttora e questo perché era chiaro a tutti che l'elaborazione della legge fondamentale dello Stato era cosa completamente differente dall'attività governativa: il PCI e il PSI erano esclusi dal governo, ma la cultura dei partiti della sinistra doveva essere lo stesso nella Costituzione, al pari di quella liberale e di quella cattolica.
Oggi, invece, il Presidente del Consiglio in carica ripete continuamente che, se gli italiani non approveranno le modifiche costituzionali, lui si dimetterà, attuando un ricatto decisamente fuori luogo e indegno della carica che riveste, aiutato in questo da altre persone altrettanto indegne del ruolo istituzionale che ricoprono. Ricatto che vuole sopperire alla mancanza di possibilità di poter mettere a confronto i due testi per l'evidente inadeguatezza della riforma rispetto al testo attualmente in vigore: solo con la propaganda può vincere il Sì al referendum costituzionale, perché, sul piano dei contenuti, la riforma è, nelle sue questioni essenziali e nello stessa lingua in cui è stata scritta, indifendibile, basta confrontare i due testi e questo appare immediatamente.
La distanza dai principi e dalle pratiche della Costituente degli anni Quaranta non è solo in questa commistione che nega nei fatti la separazione dei poteri, ma nel modo stesso in cui le modifiche costituzionali sono state elaborate. L'attuale riforma vorrebbe cambiare in maniera sostanziale la parte seconda, cioè quella sull'ordinamento della Repubblica; si tratta dell'organizzazione complessiva del nostro sistema, non un dettaglio, ma una serie di elementi fondamentali il cui cambiamento trasformerebbe le basi della vita politica del nostro paese. Una trasformazione così radicale dovrebbe essere affrontata da un'Assemblea Costituente eletta a suffragio universale con il sistema proporzionale, perché potessero essere rappresentate tutte le tendenze politiche del nostro paese, come infatti fu nel '46. Invece è stato il prodotto da un Parlamento frutto di una legge elettorale dichiarata incostituzionale e per giunta non proporzionale: mi pare ovvio che da simili premesse sbagliate possano derivare solo conclusioni altrettanto sbagliate.
La politicizzazione, nel senso più deteriore, da parte dei promotori della riforma, con tutto il corredo di ingiurie per i partigiani e per i sostenitori del NO in genere, è la logica conseguenza di un percorso partito fin dall'inizio in maniera sbagliata: è un modo per sollevare argomenti che nascondano, come in gioco di prestigio, la reale, e impresentabile, essenza del testo.



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