lunedì 4 luglio 2011

NO TAV e violenza

La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino.
È questo l'abituale principio della resistenza, logico corollario dei due articoli precedenti.
Cfr. Costituzione francese del 19 aprile 1946, articolo 21: «Qualora il Governo violi le libertà e i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza sotto ogni forma è il più sacro dei diritti e il più imperioso dei doveri».

Quello appena enunciato è l'art. 3, proposto dall'onorevole Giuseppe Dossetti per la Costituzione italiana alla cui stesura stava partecipando come membro dell'Assemblea Costituente (http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/relaz_proposte/I_Sottocommissione/10nc.pdf).

Dossetti faceva parte della Prima sottocommissione sui diritti e i doveri dei cittadini. Aldo Moro, nella seduta del 30 luglio 1946, riferendo quanto la sottocommissione aveva fatto il giorno precedente, presentò un “elenco sistematico dei diritti e dei doveri del cittadino” in cui, al punto 21, nella parte relativa alle libertà civili dell'uomo, c'era il “diritto di resistenza all'atto illegale dell'autorità” (http://legislature.camera.it/_dati/Costituente/Lavori/I_Sottocommissione/sed002/sed002nc.pdf).

Anche se questo diritto, alla fine dei lavori dei costituenti, non è stato esplicitamente previsto, esso è implicito nell'idea stessa di Costituzione, come limite fondamentale a qualsiasi esercizio del potere che travalichi la democrazia di cui la Costituzione è garanzia.

Mi è venuto in mente questo a proposito dei commenti sulla “violenza dei NO TAV” e ripensando al 16 marzo del 1977 a Bologna.

(La foto originale, di Enrico Scuro, ed altre relative allo stessa giornata, si trovano qui)





L'11 marzo, durante una manifestazione all'università, era stato ucciso dai carabinieri Francesco Lorusso, uno studente aderente a Lotta Continua. A questo erano seguiti alcuni giorni di scontri piuttosto violenti che erano culminati con l'occupazione militare della zona universitaria.

Il 16 marzo si svolse, in piazza Maggiore, una manifestazione dei partiti dell'arco costituzionale (così si diceva all'epoca), quindi anche della DC, la DC del ministro degli Interni Cossiga, che noi studenti, compagni di Francesco, ritenevamo, a torto o a ragione, responsabile di quella morte.

Il fratello di Francesco, Giovanni, avrebbe voluto leggere un intervento, a quella manifestazione, ma a noi, e quindi anche a lui, fu impedito l'accesso alla piazza perché noi eravamo “i violenti”, e la manifestazione era, appunto, contro la violenza, quindi contro di noi.

Mi ricordo bene la sensazione di esclusione che io, e molti altri, avemmo quel pomeriggio: dentro la piazza c'era la DC e noi eravamo fuori, anzi noi eravamo il nemico, quella manifestazione era contro di noi che eravamo “i” violenti.

Io penso che in quel momento il PCI abbia consumato una rottura netta con quella parte della mia generazione con la quale avrebbe dovuto, invece, trovare una mediazione. Penso che quella scelta, e l'idea complessiva di politica che c'era dietro, cioè la mediazione con il potere “vero”, quello appunto della DC, invece che con il movimento, abbia segnato il percorso poco brillante che la sinistra italiana ha avuto successivamente (per capire: fatte tutte le dovute distinzioni, sarebbe come se adesso il PD e il PDL facessero una manifestazione assieme contro la “violenza dei NO TAV”).

Esattamente un anno dopo, il 16 marzo 1978, Aldo Moro, proprio quell'Aldo Moro della Costituente, fu rapito dalle Brigate Rosse e, poco più di un mese dopo, ucciso: un'altra delle cose che pensai quel 16 marzo del 1977 era che stavano facendo una grande favore a quelli che vedevano nel terrorismo una concreta possibilità di azione. Io, come la maggior parte degli aderenti al movimento, non amavo per niente la violenza, e men che meno il terrorismo, ma capivo che quello che stava facendo il PCI in quel momento, il PCI peraltro fiero e sincero avversario di ogni prospettiva di lotta armata, era spingere verso di essa tutti coloro che si sentivano esclusi dalla rappresentanza e pensavano che la violenza fosse una opzione possibile.

Quelli che nel 1977 avevano la mia età attuale erano ventenni durante la guerra civile e durante gli anni, appunto, della Costituente, ma si sono ben guardati dal ricordarci, e, prima ancora, dal ricordare a se stessi, quel dibattito nella prima sottocommissione della Costituente, cioè dal ricordare che l'unica possibilità per evitare la violenza politica è ampliare lo spazio della democrazia, e non restringerlo, costringendo così chi protesta in un angolo, senza la possibilità che le proprie rivendicazioni trovino un luogo all'interno del quale poter essere espresse.

Non vorrei che adesso la sinistra rifacesse lo stesso errore che fece più di trenta anni fa. In questo momento la sinistra deve essere in grado, se vuole ricominciare ad esistere, di ascoltare le istanze dei movimenti che si stanno sviluppando anche qui in Italia. Gli attuali movimenti non rappresentano l'utopia, al contrario è utopistico pensare che il modello del capitalismo neoliberista, che distrugge gli uomini e l'ambiente, possa continuare ad essere un modello possibile. Se la sinistra vuole esistere deve creare un modello alternativo, che sappia essere più vicino alle istanze dei cittadini, che sappia ricominciare dal basso includendo e non escludendo.

Quindi, per favore, niente anatemi contro i violenti, maggiore attenzione a come il disagio sociale si crea e, più nello specifico, in questo caso, l'Europa e il progresso dovrebbero essere messi in secondo piano rispetto alle rivendicazioni delle comunità locali, perché queste rappresentano un'idea diversa di sviluppo e società e non semplicemente l'egoistico rifiuto di concedere il proprio giardino per il bene comune: forse, in questo caso, il bene comune è la Val di Susa così com'è.


2 commenti:

  1. Si! anche a me sconcerta un po' la compattezza di tutti i partiti nel "condannare la violenza". FORSE in uno stato che non avesse l'incredibile livello di corruzione dell'Italia ( e specialmente nella classe politica) potrebbe avere un senso delegare l'uso della violenza (perché sempre quella è!) alla polizia e all' esercito, intesi come braccio armato a difesa delle regole che i cittadini liberamente si sono dati.
    Ci sono però, inevitabilmente, momenti nella storia in cui i governi si corrompono, e conseguentemente usano le forze a loro disposizione non più a controllo delle regole, ma per la protezione dei privilegi, per il soffocamento della volontà popolare.
    Forse avrei dovuto premettere dall'inizio che io sono assolutamente contrario alla violenza.
    PERO'...
    Non mi potete continuare a celebrare la RESISTENZA come fosse una ricorrenza religiosa, ignorando l'ovvietà: l'Italia è nata dalla resistenza, che è stata una forma di giusta, violenta opposizione a un regime dittatoriale!!
    Ora io, nonostante le molte brutture dell'attuale situazione italiana, spero che non arrivi mai il momento in cui si renda necessario l'intervento del popolo armato per liberarsi di un governo infame...
    Ma sono convinto che talvolta, quando tutte le altre strade sono state impedite, la volontà di un popolo, come ultima risorsa, possa esprimersi ANCHE attraverso la violenza.
    Peace and love! ;-)

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  2. Io vorrei "solo" che la sinistra smettesse di seguire, come ha fatto negli ultimi vent'anni, le sirene neoliberiste e ricominciasse a pensare un modello di società più attenta alle esigenze delle classi più deboli che, in questo caso, sono sicuramente gli abitanti della val di Susa. E per quanto riguarda la violenza sono d'accordo con te: evitarla come la peste.

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